CHIESA PARROCCHIALE SANTA MARIA MADDALENA

 

 

Nel 1684, la vecchia chiesa parrocchiale quattrocentesca, si ritrovava in uno stato di pieno degrado e distruzione, infatti il commissario Giovanni Girolamo Sassatelli scriveva: 

“La chiesa non sta in peggior stato di quello facesse alcuni anni fa per quanto  si è osservato; è ben  vero che alcuni legni restano puntellati il che caggiona un brutto prospetto e però questi huomini del Governo ritornato che sarà maesttro Angelo Zagnoni muratorie di Toscana che hora è unico in questa terra, con esso si portaranno a visitarla e trovandola di qualche pericolo si provvederà che resti assicurata per questo inverno per poi a buon tempo provederle di quanto le sarà di bisogno.”

Dopo più di un anno ancora non si era vista alcuna soluzione e lo stato di degrato veniva denunciato di continuo, infatti lo stesso Sassatelli, il 28 ottobre 1685 così scriveva:

“Hieri in Congregazione esposi a questi huomini del Governo i pii sentimenti V. S. Illustrissima in ordine fabricare la Chiesa e questi se ne mostrorno desiderosissimi conoscendovi non che il bisogno, la necessità grande, ma riflettendo alla povertà della Terra dubitano non poter riuscire e che però fosse meglio per hora risarcire la presente e intanto considerare quello si pensa fare del luogo, forma, grandezza per divisare puoi  della spesa per pigliare copra di questo le dovute misure ma far ciò sono necessarie persone periti”.

A questo punto, riepilogando, sono in scena tre figure: il Conte Ranuzzi, gli Huomini del Governo (una specie di rappresentanza del popolo porrettano) ed infine il commissario, che fungeva da rappresentante  in loco dell’ autorità comitale.  Il primo dei problemi che seguirono fu chi si sarebbe dovuto incaricare delle enormi spese per la ricostruzione: il Conte o i porrettani? 

Fin dal secolo scorso, sia il  feudatario che gli abitanti avevano tentato di acquisire il giuspatronato sulla chiesa, fallendo tra l’altro entrambi.  I porrettani, alla fine, spaventati dall’ enorme spesa che bisognava scucire per la costruzione, cedettero tutti i diritti e pretese di giuspatronato al Conte, che si incaricò di tutte le spese (alla fine furono comunque i Porrettani a pagare poiché il Conte li tassò proprio per finanziare la costruzione della nuova chiesa).

I motivi di tale rinuncia, vennero sintetizzati nel verbale della riunione tenuta il 26 ottobre 1687:

“La chiesa trovasi ridotta in mal stato e minacciante ruina e devesi necessariamente reedificare”

(ma per tale operazione non erano sufficienti le 12.600 lire che essi possedevano)

A  ricordo dell’ acquisizione del giuspatronato da parte della famiglia, dopo la costruzione della sacrestia sarebbe stata posta al suo interno una lapide ancor oggi visibile:

 

D.O.M.

ANNIBAL RANUTITUS SEN ET COM.

IUREPATRONATUS ECCLESIAE ARCHIPRESBITERALIS

SANCATE MARIAE MAGDALENAE

IACOBI BONCOMPAGNI ARCHIEPISCOPI DECRETO

ET COMUNITATIS DONATIONE

SIBI ET HAEREDIBUS COMPARATO

EX ACTIS IOSEFI LODI ET TABULIS

ANNO DOMINI 1685

 

Oggi questa scritta si trova su una lapide affissa sopra l’ ingresso principale della chiesa sotto lo stemma dei Ranuzzi. La scritta significava il diritto che la famiglia possedeva su quella chiesa fino al secondo dopoguerra.

 

IL PROGETTO DI GIUSEPPE ANTONIO TORRI ED AGOSTINO BARELLI

Mentre tutto ciò avveniva, il progetto per la nuova chiesa procedeva speditamente, dato che lo stato della chiesa era in uno stato talmente disastroso che il Capitano Arrighi, nel 1689 scrisse:

“Bisogna puntellare altri legni e catene veduti rotti e che però saria bene per ogni repentino accidente disarmare e levar l’Organo e tutto quello che vi è di buono” 

Nel 1689 era inoltre già stato realizzato un progetto per la ricostruzione assieme al relativo disegno, il 26 febbraio il capitano Arrighi scrisse al conte:

“Ecco a V. S. Illustrissima il dissegno o sbozzo materiale della chiesa fatto  fare d’ordine suo a maestro Angelo Muratore con le chiamate e ragioni”

Il progetto venne realizzato dai due architetti bolognesi Giuseppe Antonio Torri ed Agostino Barelli, che erano venuti a visitare la zona  per tutti i rilievi necessari, aiutati dal capitano Arrighi ed assistiti dal Maestro Angelo Zagnoni che avrebbe partecipato, seppur in seguito, ai lavori di costruzione. Secondo il parere di Arrighi, tali disegni risultavano ben eseguiti; essi infatti prevedevano anche la costruzione oltre che della chiesa, anche del palazzo comitale che si sarebbe dovuto trovare a monte della stessa chiesa, nella sua parte anteriore: si trattò infatti di un complesso progetto architettonico ed urbanistico che avrebbe dovuto comprendere i due più importanti centri di potere locale, la chiesa parrocchiale ed il palazzo del Conte. Tale progetto però non venne realizzato perché il palazzo, dopo vari tentativi nella metà del settecento non venne mai costruito. Agostino Barelli, era un famoso architetto che aveva lavorato per di più fuori da quelli che oggi sono i  confini italiani, in particolare a Monaco di Baviera. Quando tornò in patria, venne incaricato di costruire la chiesa di Ss. Bartolomeno e Gaetano, sotto le due torri di Bologna.  La particolarità dell’attività a Porretta di questo architetto è che dopo la stesura del primo progetto non vi è più alcun segno della sua attività, mentre viene citato spesso solo il secondo architetto, il Torri; questo è il segno che, molto probabilmente Barelli incaricò Torri di far eseguire il suo progetto.

 

LA RISPOSTA DEI PORRETTANI, MALUMORI E MALDICENZE.

Ovviamente, come si può immaginare, in un paese piccolo come questo, la decisione di costruire una nuova chiesa venne presa dalla gente anche in malo modo, scatenando non poche polemiche e maldicenze.

“Purtroppo vi è qualche malevolo come Lorenzo Taruffi che vanno mormorando per le botteghe che la Chiesa non è per farsi e che sono queste spesse giettate” 

Per tentare di ovviare a questi pettegolezzi l’Arrighi sollecitava così il conte:

“Bisogna presto dar principio et effetto alla sua pia mente e far restare bugiardi e mentitori li maligni che non vorrebbero vedere e non credono questa santa opera”

Il Taruffi, che fu ritenuto colpevole di agitare la gente con queste maldicenze, fu interrogato anche dal commissario, con il quale si giustificò dicendo che non era sua intenzione sparlare del conte e che le sue parole erano state dette solo “per il gran desiderio che ha di questa chiesa”.

 

L’INIZIO DEI LAVORI E L’ARRIVO DEL NUOVO PARROCO

Per avviare l’inizio dei lavori ci si posero 2 problemi inizialmente: 

La costruzione e lo scavo di una vasta area a monte della vecchia chiesa (dove sarebbe dovuto sorgere il palazzo e la distruzione di quest’ultima, per la ricostruzione di quella nuova. Ovviamente la distruzione della chiesa avrebbe interrotto per diversi anni l’attività ecclesiastica porrettana, per cui si decise di spostare tutte le attività e le funzioni all’ oratorio di S. Francesco (ove risiede ora il teatro parrocchiale) che sarebbe divenuto la chiesa parrocchiale fino all’ estate 1696. Lo spostamento avvenne nel novembre 1689. I lavori iniziarono quindi i primissimi giorni di novembre e i due architetti cominciarono a 

 

“lineare il suolo per la nuova fabbrica della chiesa essendosi già sgombrata la vecchia perché possino meglio operare; hanno stimato quindi hora necessario fare una muraglia per mezzo la vignola per ridurre il piano, e servirsene poi per porvi le matterie, per il che s’è comprato la calcina e si va ordinando l’altra per servirsene puoi a primavera come anche dall’altre matterie”.

 

Ma venne immediatamente a piovere e i lavori di scavo vennero rinviati a fine mese.

Ovviamente i lavori vennero anche interrotti per la stagione invernale in attesa della primavera. La parte del muro del sagrato già costruita a dicembre  venne coperta.

Già in questi primissimi momenti sorsero però dei dubbi sulla lunghezza della pianta della chiesa, causati soprattutto dalla constatazione di una certa instabilità del terreno dalla parte del coro (via dei Monchini).

La parte absidale della chiesa sarebbe dovuta sorgere nella posizione della facciata della vecchia chiesa, dato che si era anche deciso il capovolgimento dell’ edificio.

 

“Hanno divisato per dimani far scavare terreno nel luogo designato per vedere e riconoscere il sito se sia per riuscire stabile ma mottivandomi ella coll’ ultima sua umanissima dphavere intentione ad altro disegno ho differito  l’operazione tanto più che manissima d’havere intentione ad altro disegno ho differito l’operazione tanto più che il sito dove è disegnato il coro e che reca maggiore timore a causa di mossa di terreno  o ruina dove è quasi sempre acqua, presentemente non ci si può lavorare a causa dell’ acqua medesima” (commissario Sassatelli, 11 dicembre)

 

Infatti, la chiesa a causa di questo problema, venne accorciata rispetto al primo disegno al fine di evitare di costruire sul terreno poco stabile. L’ultima parte dell’ anno 1689 fu anche periodo di vacanza per la parrocchia, dopo la rinuncia dell’arciprete Don Domenico Gasperini, l’arrivo del nuovo prete, Don Antonio Zannoni, era previsto per marzo dell’anno successivo. 

Come vedremo successivamente, il nuovo parroco non avrà un ruolo secondario nella ricostruzione della chiesa, rivelandosi assai zelante per la casa del Signore ed in seguito avrebbe insistentemente esortato i suoi parrocchiani a partecipare alle processioni per mezzo delle quali tutti, ciascuno secondo le proprie forze, portavano sassi dal greto del Rio o del Reno fin sulla spianata della chiesa (un rito molto usato per la costruzioni di chiese importanti e molto desiderate dalla popolazioni, tra cui, citando un celebre esempio, la Basilica di San Luca a Bologna). 

L’arrivo del nuovo parroco, alla fine di marzo del 1690, fu celebrato con tutti gli onori, e sulla figura del nuovo parroco già poco tempo dopo vennero spese un mare di parole e di celebrazioni: 

 

“bisogna che dica che habbiamo un angelo in tutti i generi; lui officia bene, e con tutta devozione e pietà predica ma bene, esemplare in tutte le sue azioni, virtuoso ne’ circoli, ove si trova , da ordine, e va ponendo sesto alle funzioni ecclesiastiche che erano perdute e corrotte, amoroso e benigno con tutti, fatica et opera lui medesimo con ogni zelo e carità, civilissimo nel trattare, nelle funzioni della cheisa ha messo assieme un clero da vescovo” (commissario di Porretta)

 

Don Zannoni, si prese tanto a cuore la fabbrica che in moltissime occasioni cercò di facilitare ed aiutare i lavori, dalla devoluzione di tutte le offerte alla parrocchia fino all’ indizione di un pellegrinaggio al santuario della Madonna del Ponte.

 

La posa della prima pietra e l’avvio dei lavori nella primavera 1690

 I lavori vennero dunque ripresi nel marzo successivo, quando il capomastro ricominciò a “tirare le linee” , a delineare cioè sul terreno ormai completamente spianato le linee perimetrali e la pianta della navata e del coro. Dopo questa operazione si iniziò la costruzione del muraglione del sagrato e della strada di accesso che proveniva dalla porta del Sassocardo, definita anche di Capugnano (l’odierna Ranuzzi), era un tracciato assai di difficile realizzazione, ma probabilmente l’unico realizzabile. L’8 aprile venne completato anche il muraglione del sagrato, che rese stabile l’intera zona. A metà mese vennero anche cominciati i lavori di costruzione delle fondamenta del coro e della facciata,  nelle quali vennero trovati del buon calastrino. Tutto ciò permise quindi di celebrare la posa della prima pietra che svolse il 19 dello stesso mese, secondo quanto era già stato stabilito dal decreto del vicario capitolare della diocesi del 14 marzo precedente, decreto che accordava pure il consenso alla demolizione della vecchia chiesa. Il parroco dunque, vestito con gli abiti pontificali e secondo le formule previste dal rituale romano, benedisse tutti i presenti, poi benedisse la prima pietra e la segnò con la croce per porla nel primo pilastro angolare della facciata:

 

“Domine Deus, qui, licet caelo et terra non capiaris, domum tamen dignaris habere in terris, ubi nomen tuum iugiter invocetur: locum hunc, quaesumus, beatae Mariae semper Virginis et beatae Mariae Magdalanae omniumque Sanctorum intercedentibus meritis, sereno pietatis tuae intuitu visita, et per infusionem gratiae tuae ab omni inquinamento purifica, purificatumque conserva; et qui dilecti tui David devotionem in filii sui Salomonis opere complevisti, in hoc opere desideria nostra perficere digneris, effugiantque omnes hinc nequitiae spirituales. Per Dominum nostrum Jesum Christum Filium Tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia secula saeculorum. R.Amen".

 

Così si potè iniziare la costruzione vera e propria che fin dai primi tempi procedette con notevole speditezza: alla fine di quello stesso aprile tre dei piloni della fiancata a valle, considerati i più dispendiosi, erano già  costruiti fino al piano della chiesa vecchia. Ovviamente non mancavano anche i contrattempi, spesso legati a questioni personale o alla salute dei capimastri o dei maestri muratori. In quello stesso aprile, ad esempio il capomastro prese la risipola e ciò rallentò di qualche giorno i lavori. (Sassatelli a conte, 29 aprile 1690).

Nel mese di maggio tutta la vecchia chiesa era già stata demolita ad esclusione del campanile che risultò non disturbare i lavori perché era posto fuori dalla zona di costruzione; quest’ultimo sarebbe stato atterrato due anni dopo. Questi lavori permisero di completare la spianata per avviare i lavori anche per la fiancata superiore dell’edificio. A metà del mese tutti i piloni del lato a valle che erano già stati iniziati risultavano fondati sul terreno solido: due erano già al piano voluto ed altri due al piano della chiesa vecchia, poco più

 basso di quello dalla nuova. Per tali piloni vennero usati materiali molto solidi, non sassi, ma addirittura macigni, cosicché la fabbrica sarebbe risultata “eternamente soda e stabile”; questa tecnica permise anche ri raggiungere un altro scopo risparmiare poiché si utilizzò un’inferiore quantità di calcina.

 

“Nel tirarsi giù la volta della Cappella maggiore della chiesa vecchia V.S. Ill.ma sa che nel serrone in prospetto vi era un’arma antica de’ Signori Ranuzzi e che non si scorgeva altro; hora gettato a terra detto serrone di masegna contenente questo stemma ho osservato esservi due lettere A R che stimo siano il nome del Signor Conte Angelo Ranuzzi col millesimo 1536; l’ho fatto metter da parte in luogho sicuro per conservarlo”

 

Questo stemma fu poi murato nella sacrestia della chiesa nuova dove ancor oggi si trova.

 

Il problema della eccessiva lunghezza del primo progetto Torri e della conseguente fondazione del muro del coro su terreno instabile, problema che si era già manifestato alla fine dell’ anno precedente, tornò in discussione nel maggio 1690; tutti affermavano che la delineazione della chiesa sul terreno mostrava come essa fosse davvero troppo lunga; il commissario, a sua volta, in ripetute occasioni aveva sollecitato il conte a far eseguire una rettifica del progetto per accorciare la chiesa di 10-12 piedi ( 4-4.5 metri ca.) “per sfuggirsi appunto in fondo quel sito più pericoloso per esser lavinoso”. Il problema era davvero grave ed il conte fece elaborare un nuovo disegno che venne da lui approvato a fine maggio.

 

Lo scavo di quasi tutti i piloni non diene alcun problema: il cala strino risultò così dure che si trovarono difficoltà a scavare un solo piede (38 cm. Ca.)  sotto il piano. Solamente il quinto pilone a valle diede problemi ai muratori poiché non riuscirono a trovare terreno stabile nel punto di scavo se non dopo un lungo lavoro (a fine luglio il problema non era ancora stato risolto):

 

“sino ad hora sono sotto circa piedi quindici (2.70 metri) ne’ si trova il stabile ma non dovrebbe tardare a scoprirsi” (…)“Il pilone di cui già scrissi a V. S. Ill.ma ci fa un gran tedio, et ultimamente doppo  haver fatto alleggierire il terreno  di sopra, e fatto scavare, che hormai era al termine è ruinato nuovo terreno, che l’ha novamente riempito, ma questo non basta, che dal pilone superiore a questo il terreno è tutto scuosso si che vedo una gran difficoltà a questo fondamento”

 

Oltre a questo problema di natura geologica imperversò un secondo problema, di natura meteorologica, infatti per tutto il mese di luglio imperversò il cattivo tempo. Solo il 5 agosto si potè finalmente dire:

“finalmente il tempo ha pure permesso la fabrica del pilone per il quale otlre che si trovò un terreno assai sodo doppo il scavo di piedi dicinove (3.5 metri) stimarono i maestri più sicuro il porci ancora di vantaggio l’agocchie come si fece e per gratia di Dio hoffi è tanto alzato che non puole più esser danneggiato”

(Sassatelli a conte)

 

Altri problemi nacquero per la pura testardaggine di alcuni protagonisti della costruzione della chiesa. Uno dei caratteri più difficili risultò quello del Maestro Angelo Zagnoni. Girolamo Sassatelli l’ 8 luglio  scrisse al conte una lettera molto esplicita in cui fece pesanti affermazioni. Secondo lui lo Zagnoni era stato trattato sempre con grande pazienza anche dal capomastro, per tentare di superare i contrasti e per non infastidire il conte. Il motivo delle lamentele erano i discorsi vanagloriosi che egli continuamente pronunciava, distraendo gli operai dal lavoro; egli voleva fare di testa sua anche contro la volontà del conte come nel caso in cui aveva voluto servirsi “d’alcuni cantoni lavorati rimasti dalla fabbrica della cantonata che resta sotto il piano della chiesa, non ostatne che detto Capo Maestro havesse preparato sassi molto a proposito e buoni per tal servitio e hieri senza bisogno alcuno si pose a lavorare un sasso col scalpello per ponerlo nelle cantonate medesime trattenendosi circa due gore in tal lavoro col fare aspettare gl’altri muratori che senza alzare detta cantonata non potevano tirare i fili e seguire la muraglia.” Un altro suo grave difetto era che egli eseguiva i lavori impiegando molto più tempo del maestro Parietti Giovanni Maria. 

I lavori procedettero comunque molto spediti. In agosto il pilone che aveva dato i maggiori problemi era al livello del terreno, e contemporaneamente anche le basi per i muri del coro erano già pronte. Sulla spianata ormai il perimetro era già stato tutto tracciato e ci si predisponeva alla stagione brutta ormai in arrivo, infatti a dicembre, con gli scavi della sacrestia nuova già iniziati i lavori vennero interrotti, e tutte le impalcature, con il legno proveniente dalla vicina Toscana, vennero completamente coperti, e per la stagione invernale vennero intensificate al massimo le processioni per l’accumularsi delle pietre fluviali sulla spianata.

Anche durante l’interruzione della costruzione dei primi mesi del 1691 il commissario del conte Girolamo Sassatelli non rimase con le mani in mano, si diede anzi molto da fare per provvedere i materiali necessari alla ripresa dei lavori. Non si trattava solamente di procurare un’enorme quantità di sassi, continuamente e regolarmente portati a spalla dai parrocchiani in processione dai greti del Rio e del reno, ma di procurare il legname ed i ferri necessari. 

Lo stesso Arrighi provvide anche a procurarsi le catene di ferro per la volta che vennero fatte eseguire a Pracchia dove esisteva un’ importante ferriera appartenente all’ industria statale toscana chiamata Magona Granducale che, come altre ferriere della montagna pistoiese, trasformava il verro proveniente dall’Elba.  Il lavoro che doveva essere commissionato era piuttosto importante, tanto che l’Arrighi affermava: “parlai a giorni andati col fattore di quella (ferriera) quale mi disse che havrebbe scritto sopra ci al signor Marchese Ferroni depositario occasionale che tal lavoro fosse comandato, perchè senza esso Signor depositario, né detto fattore, né altri operari della ferriera potevan fare simili lavori”. 

Altro argomento trattato dall’ Arrighi fu quello del modello della porta maggiore e delle finestre della nuova chiesa. Quanto al cornicione, maestro Angelo e figlio ne stavano eseguendo 60 piedi  (quasi 11 metri) su commissione dello stesso Michele da Rio.

Nei mesi di marzo e aprile si pose mano anche alla costruzione della sacrestia per l’inizio della quale si resero necessari anche “cantoni scalpellati alla grossa” oltre ad una porta e a due finestre per il pian terreno della stessa, oggi in opera presso l’imbocco dello scalone di San Rocco. Un altro lavoro di questi mesi fu quello dei legnami pistoiesi per i quali si ottenne  la licenza dal senatore Pandolfini di Firenze.

In questi mesi si tentarono anche soluzioni tecnicamente più produttive, sia dal punto di vista del risparmio di denaro, sia, a detta del Sassatelli, della stabilità dell’edificio:

“ho considerato non tanto per maggior risparmio quanto per maggior fortezza, e per la mancanza dei mattoni servirsi di sassi dolci di castagneto per tirar su  i Piloni, voltare le Cappelle, et ancor servirsene nella volta della chiesa sino alla pendice di essa radunare de’ suddetti sassi”

Nel giugno di quell’anno si cominciò anche a pensare seriamente al modello della porta maggiore e delle finestre, per la quale, fin dal gennaio erano stati già proposti addirittura due progetti rispettivamente del capo degli scalpellini maestro Michele dal Rio e di Maestro Domenico Gentilini. Il primo dei due, a detta dell’ Arrighi, aveva inteso benissimo la formalità desiderata. Nel giugno  però non era ancora stata presa una decisione definitiva. “Le pietre che sono tagliate a tal effetto presentemente non possono servire per il primo disegno se non con un’aggiunta d’un orecchia, e la coperta di detta Porta non puoil servire di questo disegno per essere arcata”. Evidentemente la differenza più rilevante tra i due disegni era che la porta del primo prevedeva un architrave e quella del secondo un arco. Alla fine il lavoro venne  ad un maestro Trentino.

Nel frattempo erano già state realizzate quelle che vengono definite “portine”, che non sono quelle sotto le due cantorie, ma bensì quelle che stavano nelle ultime due cappelle laterali. La porta a destra fu successivamente chiusa nel 1885, con la muratura dell’altare di Sant’Anna (la porta è riconoscibile dall’ esterno), mentre venne (negli ultimi anni) riutilizzata la porta rispettiva sinistra, che conduce all’oratorio di San Rocco. 

Nel mese di luglio la fabbrica avanzò con speditezza; il 9 l’Arrighi scriveva così al conte: “Ho trovato la fabbrica molto avanzata nel tempo che io sono stato fuora, e dentro la settimana entrante sarà all’altezza di piedi nove, sichè è necessarissima l’alzata a chi vuole tirare avanti per far bene le cose da qui avanti. Onde Bisogna che V.S.Ill.ma mandi in su sollecitamente Giovanni Gasparo per far quivi detta altezza con tutta applicazione, e con esso lui il Pulzoni Capo Maestro perché  cominciandosi a lavorare in cose d’architetture sottili, stimo necessaria da qui avanti la di lui assistenza, come di prattica”

Egli informò anche il conte  a proposito dei macigni già cavati per realizzare la porta; la documentazione, pur così abbondante ed analitica, tace però completamente sulla cava da cui vennero tratti, limitandosi ad affermare che vennero in più occasioni visitati sia dal commissario, sia dall’ Arrighi, sia infine dai maestri scalpellini.

L’esistenza di due disegni della porta maggiore rallentò un po’ la sua realizzazione poiché la scelta fu piuttosto lunga e laboriosa; così il Sassatelli scriveva alla fine del mese di luglio: “Suppongo come già avisai V.S. Ill.ma sarà informata da Maestro Vittorio circa le difficoltà della porta e perché Maestro Giovanni Giacomo Lori scalpellino successo il luogho del Fentilini resta sospeso se debbe proseguire la Porta nell’ ultimo dissegno consegnato al Gentilini e fattoli dall’ Arrighi come vedrà o se pure debbe fare un nuovo taglio per il disegno che ella divisò con Maestro Michele”.

Nel frattempo era anche giunto il Pulzoni con incarico di Sovrintendere al  proseguimento della costruzione, in particolare per la cosiddetta alzata, la costruzione cioè dei muri laterali. 

All’ inizio di agosto i lavori vennero sospesi a causa del canicola: “ L’occasione del caldo che  regna  insofribile per il che conosevo anche che danneggiava la fabrica mentre io sull’ hore del meridio non vi si poteva assistere, ho preso pretesto di licenziare i muratori, come in effetto ho fatto facendo  però in questo mentre radunare matterie cioè sassi de’ quali si scarseggia, go detto al Pulzoni che potrebbe ritornarsene a Bologna”.

 

In quel 1691 i lavori proseguirono fino a novembre, mese in cui i muri risultavano notevolmente cresciuti rispetto alla primavera precedente. Ma il mese in montagna è imprevedibile, infatti l’11 di Novembre  il tempo peggiorò moltissimo, e cominciò addirittura a nevicare; questo fatto oltre a danneggiare gravemente il raccolto delle castagne fu anche d’ impedimento a pareggiare le muraglie della fabbrica. Il 20 del mese la situazione comunque migliorò, ma l’ormai avvicinarsi della brutta stagione avrebbe presto bloccato nuovamente i lavori, che sarebbero stati continuati sotto forma di passamano tra la gente per l’accumularsi delle pietre (ancora troppo poche). 

Nell’ anno seguente i lavori ripresero solo a primavera inoltrata, infatti le prime lettere dell’ Arrighi al Conte risalgono al 27 di Aprile. I primi problemi di quel periodo furono riscontrati alla porta maggiore, a causa del suo peso eccessivo a carico del terreno, ma vennero presto risolti. Maggiori difficoltà vennero riscontrate nella costruzione della strada che sarebbe divenuta poi la Rampata Chiesa. Fino a quel momento infatti i lavori erano proceduti a rilento soprattutto per l’ umidità del terreno causata dalle piogge recenti. 

Nel giugno la fabbrica della chiesa avanzava speditamente ed i muri laterali erano ormai completati avendo raggiunto la base delle volte dove si stava mettendo in opera il cornicione; quest’ultimo, alla fine del mese, era completo nella parte del coro. Essendo finiti i lavori più importanti ed essendo necessario proseguire con i lavori di maggiore finezza, poiché la fabbrica “era in stato di non potervi fare errori”, il commissario Sassatelli licenziò l’Arrighi; Ancora in questo periodo la calce per la fabbrica proveniva tutta da una fornace di proprietà del capitano Arrighi che si poteva trovare, all’ altezza della piscina comunale e del Sassocardo, dove ancora esiste il “coetaneo” mulino Saturno, che mostra infatti ancora tutte le vecchie strutture di questo edificio. Nell’estate del 1692 vennero eseguiti anche i lavori per il muro di sostegno della chiesa e del sagrato. Vennero anche iniziate le volte delle cappelle laterali, prima tra tutte quella del crocefisso (terza a destra), considerata la più importante.

A rallentare i lavori di costruzione del muraglione del sagrato avvenne però che franò del terreno che provocò non pochi problemi per la pulizia del materiale smottato.

Vennero anche iniziati i lavori per la cornice esterna nella parte del coro, che vennero prolungati fino all’ ormai consueta pausa invernale.

 

I lavori vennero ripresi nell’aprile successivo, e superati i problemi di umidità i lavori proseguirono di buona lena fino all’estate 1693, quando si poté affermare che i problemi di stabilità dell’ edificio erano stati perfettamente risolti, nel modo più brillante, questo fino all’ inverno successivo.

A marzo 1694 per evitare problemi a improvvise e temute gelate, vennero continuati solo i lavori per le due strade che conducevano alla chiesa, la moderna Via dei Monchini e Rampata Chiesa.

Vennero inoltre cominciati i lavori per la costruzione del muro a monte della chiesa, per la deviazione dell’allora Via Capugnano, per la futura costruzione del passaggio per il palazzo Ranuzzi.

Nel Maggio 1694 si poteva cominciare a intonacare i muri interni, ormai coperti.

A giungo erano già stati intonacati e imbiancati tutti i muri del coro e tutte le volte fino all’ altezza del cornicione. E contemporaneamente, grazie al bel tempo, si potevano riprendere i lavori per la costruzione del muraglione, interrotti a causa del lungo periodo di piogge e di umidità.

Nell’agosto corrente però un incidente terrorizzò tutta la comunità, specialmente il Sassatelli. Infatti una delle catene di sostegno del coro, si ruppe, e la settimana seguente l’incidente fu di autentico terrore, poiché in molti temevano un crollo dei muri del coro, ma il 21 agosto, scrisse Sassatelli:

“Restò puoi agiustata la cattena della fabrica  quale per gratia di Dio non ha fatto altro movimento”

Il catino del coro era praticamente finito e tolte la maggior parte delle centine, ed immediatamente dopo seguì un “piccolo” dilemma, ossia quello di che colore intonacare le pareti. Le proposte erano due. Tutto di bianco o i pilastri grigi secondo un tipico gusto toscano. Fu applicata la prima scelta. Venne in seguito anche risolta la questione delle sepolture. La vecchia chiesa possedeva 3 sepolcri, e i morti venivano sepolti anche in sagrato, con posti riservati ai membri della confraternita e ai preti. Venne però stabilito che chiunque sarebbe potuto essere seppellito in sagrato, mettendosi d’accordo con il parroco e pagando il giusto prezzo.

La chiesa era ormai conclusa, mancavano gli arredi e gli altari, ma i lavori vennero interrotti per l’ultimo inverno, quello del 1694-95.

Dopo anche quest’ultima pausa invernale i lavori vennero infine completati con tutto ciò che effettivamente mancava, arredando la chiesa con gli altari, i quadri e le pitture.

L’inaugurazione avvenne nel 1696 fu eseguita in pompa magna.

 

DECORAZIONI E ALTARI LATERALI

Nello stato attuale della chiesa, oltre alla che alla chiusura della porta dell’ altare di Sant’Anna nel tardo ottocento, vi sono diversi elementi che dall’inaugurazione della chiesa nel 1696 vennero cambiati.

Uno dei più importanti era la presenza di due altari di grandi dimensioni, posti dove ora sono le due cantorie, ossia ai lati del transetto. Prima dell’erezione di queste due cantorie, vi erano appunto due altari dedicati rispettivamente: a destra alla Presentazione di Maria al tempio, e a sinistra alla Beata Vergine del Rosario. Gli ingressi laterali, invece erano posti nelle prime 2 (ultime entrando) cappelle laterali, ora di Sant’Anna (a destra) e a sinistra nuovamente (1976)  riaperto, per permettere anche il veloce passaggio all’oratorio di San Rocco. Le restanti cappelle sono dedicate: a sinistra: Battistero (ancora oggi), SS. Luca e Giuseppe (oggi Santa Immacolata Concezione), S. Antonio Abate (poi Sacro Cuore e oggi ospita un dipinto settecentesco *). A destra: Angelo custode (ancora oggi, ma con la statua sfortunatamente deturpata dall’assenza del bambino, rubato di recente), S. Antonio da Padova (ancora oggi), Crocefisso (ancora oggi) poi S.Anna.

Le modifiche vennero applicate in 2 momenti separati, nel 1885 vennero eliminati i due altari laterali, con l’apertura delle cantorie, degli ingressi laterali, la costruzione delle due cantorie grandi e la traslazione dell’organo dalla piccola cantoria sovrastante l’altare di Sant’Anna alla grande cantoria di destra.

 

 

CAMPANE E CAMPANILE

(XVII – XIX secolo)

E’ giusto e doveroso dedicare una parte della storia della chiesa di Santa Maria Maddalena al campanile e alle campane che da quattrocento anni scandiscono la vita degli abitanti di Porretta. Come già sappiamo esisteva un campanile nella vecchia chiesa del ‘500, ma venne sventrato e poi abbattuto con la costruzione della nuova chiesa nel 1691-96. Le notizie sulle campane, risalgono agli inizi del XVII secolo, dai libri di amministrazione risulta che le nuove campane vennero fuse a Bologna il 4 novembre 1645. Durante la visita pastorale del 1692 veniamo informati che: “la torre deve essere costruita alla chiesa con il denaro dei detti Conti Ranuzzi e..nel mezzo della nuova chiesa si trovano le campane fissate a legno in parte…dal muro della chiesa canonica e in parte della chiesa edificata; la maggiore di esse è del peso di 900 libbre (Kg.324,9),l’altra è del peso di 600 libbre (Kg. 216.6). Vi è anche una campanella che il volgo chiama “per dar il segno” di libbre 100 (Kg. 36.1).

Le campane da campanile erano dunque 2, paragonabili alle attuali Mezzana e Mezzanella di rispettivamente 974 e 696 libbre. Successivamente venne fusa una quarta campana (terza da campanile) di 600 libbre.

Originariamente il campanile si sarebbe dovuto trovare sulla destra del coro,  ma nel 1696 la chiesa era completata e non vi era ancora stata eretta una vera e propria torre campanaria. Solo nel 1703 abbiamo delle fonti di costruzioni per il campanile. Ma non si trattava di una vera e propria torre campanaria, si trattava infatti di un muro a lato dell’ ingresso sinistro della chiesa a cui erano fissate le campane, come un campanile romanico a vela. Solo nel 1732 si decise di innalzare la muraglia che serviva da campanile.

Tra l’agosto e il dicembre 1719 si fuse un’altra campana.

Nel 1732 venne fusa una piccola campana di 569 libbre, 174, 9 Kg. 

A questo punto le campane effettive per il campanile erano 3 più due piccole, ma tra il 1808 e il 1813 vennero fuse altre 4 campane, che avrebbero trovato posto in una locazione ben più importante e ampia della precedente.  Venne quindi vagliato un progetto di costruzione ex-novo di una torre campanaria: “costruendo n. 4 Piloni sopra posti al Tetto della Chiesa col assicurarli superiormente alle due pilastrate della Porta laterale che mete in chiesa dalla parte del Oratorio” servendosi poi della scaletta che ancor oggi mette sulla piccola cantoria vicina al pulpito per andare al campanile. Quest’ultima soluzione sembrava la più idonea sia per la solidità e per la robustezza senza periculo i pregiudicare la Fabricha della Chiesa sia perché così il suono sarebbe giunto con più facilità in paese essendo la precedente collocazione a monte della chiesa.

Quanto alle nuove campane 1809 si riunirono nell’oratorio di S. Francesco, 30 capi famiglia, presieduti dall’ arciprete, con le intenzioni di iniziare l’impresa. Cominciarono perciò a fare offerte o a sottoscrivere obbligazione. Di questa fusione ci resta un’abbondante carteggio con il maestro fonditore Angelo Rasori. Egli il 25 luglio 1809 scriveva che non era potuto venire ad Affrico per la cui chiesa aveva fuso 3 campane ne’ a Porretta: “per la causa di questi insorgenti; per la fusione i fabbricieri avrebbero dovuto procurare il metallo, mentre la sola fattura sarebbe costata lire 30 ogni 100 libbre di peso; sarebbe stato meno dispendioso fondere i sacri bronzi a Bologna che in loco, perché così “loro si risparmiano la spesa della Fornace e del trasporto di tutti i Lordegni”; il trasporto da Bologna a Porretta, sarebbe costato sicuramente di meno; se avessero scelto di farle a Bologna, tutto sarebbe stato facilitato. Il caldo del metallo durante la fusione sarebbe stato del 5 o 6%. I fabbricieri avrebbero anche dovuto comunicare al fonditore quali santi avrebbero voluto porvi sopra. Del 9 settembre 1809 è il contratto definitivo: i pesi erano stabiliti a 288,8; 216, 6; e 144.4 kilogrammi e sarebbero dovute essere accordate in Do. Re Mi; se alla prima fusione non avessero presentato una perfetta accordatura il Rasori si impegnava a rifonderle; il costo veniva stabilito in 25 soldi alla libbra. Con la fusione di tutte queste campane, il metallo venne preso da quelle già presenti:

la campana grossa rotta, di 260 kg.

2 campane piccole da 36 kg regalate dai Ranuzzi.

Una comperata da Badi (80 kg.)

La campana dell’ oratorio di S. Rocco ormai crollato di 47 kg.

Vari campanella di 4 kg.

Nel luglio 1810 le campane erano concluse e proseguiva il progetto di ampliamento del campanile, cosicché esse restarono a Bologna ancora qualche mese. Il trasporto si fece in autunno e fu lungo e laborioso, con l’ impiego di vari carri  trainati da buoi. Nell’ ultimo tratto fu seguito l’ itinerario, più comodo e sicuro in tempi in cui non esisteva ancora la porrettana attraverso Riola - Savignano - Pian di Casale – Gaggiola – Porretta.

L’idea di ampliare il campanile era nata assieme a quella di fondere le tre nuove campane e risale, come abbiamo già visto al maggio precedente anno 1810. La relazione di un anonimo perito datata 7 ottobre 1810 chiarisce bene la situazione; avendo compiuto un sopralluogo e rilevato precise misure egli ritrovò il campanile nei muri e legnami coperto il tutto in pessimo stato e fuori di quadratura e parallelismo; la cella campanaria poi non era perfettamente quadrata come richiesto per collocarvi le nuove campane, , misurava infatti 2,59 metri per 2,02; oltre a ciò era più piccola del necessario di once 9 (27 cm). Per questi motivi il perito proponeva di atterrare sino al piano dell’oratorio con il muro di prospetto all’ingresso del campanile che si trovava in pessimo stato. Così nella costruzione si sarebbe rispettata la pianta quadrata e si sarebbero recuperate le 9 once mancanti; 

I lavori iniziarono all’inizio dell’ottobre 1810 ed a ricordo di essi ci sono rimasti precisi rendiconti delle spese giornaliere. E’ interessante notare come il campanile venne fato più grande del previsto, dato che venne fusa una quarta campana di 470 kg. 

Molto presto venne presa la decisione di fondere ancora una volta le campane. E la stessa ampli azione del campanile non fu soddisfacente tanto che  solo nel maggio 1846 vennero iniziati i lavori per l’erezione della nuova  torre campanaria. Nel 1847 vennero raccolte tutte le pietre necessarie, provenienti dalla cava di Porretta. La vera e propria costruzione venne iniziata solo nel 1848. Quest’ultimo campanile, bello, maestoso e perfettamente integrato con l’edificio preesistente (tanto che risulta quasi difficile immaginarsi la chiesa senza il campanile) ma con il “problema” dell’altezza ci si pose il problema della fusione di un nuovo doppio (coppia di campane). Vennero inaugurate il 17 luglio 1861 da Alessio Verati:

una perfetta fusione e lavorate per eccellenza, la Maggiore è un La bemolle, la seconda è un Si bemolle, la terza è un Do e la quarta è un Mi bemolle; vennero installate sul campanile il 20 luglio. 

Per completare la costruzione nel 1863 venne collocata sulla sommità del campanile la palla di rame che ancora oggi si può vedere sovrastata dalla croce del 1848 e perforata da due pallottole, probabilmente dell’ ultima guerra, per mano nazifascista, quasi certamente.

Quanto all’orologio, occorre ricordare che non era nato per essere collocato in quella posizione. SI trattava infatti dell’ orologio comunale che si trovava sopra l’arco del voltone del ponte dei Sospiri.

Fin dai tempi molto antichi il comune manteneva tale orologio destinato all’utilità pubblica.

Nel 1929, in occasione delle più terribili e deprecate demolizioni e azioni compiute dal governo fascista che snaturarono, o meglio, che devastarono completamente la zona del ponte dei sospiri, via Salara (oggi via Matteotti) e della Rampata chiesa, l’orologio venne tolto dal voltone (distrutto da questa azione schifosa) e venne collocato sul campanile.

L’ultima volta in cui l’orologio venne accomodato dopo i danni bellici, fu nel 1950; in quella occasione il parroco don Amedeo Migliorini incaricò della riparazione Paolo Marchi. Ancora allora bisognava che qualcuno salisse ogni giorno sul campanile per ricaricare l’orologio. Nel 1965 venne elettrificato l’intero impianto del campanile, che permette di poter suonare ed azionare le campane dalla sacrestia. Le scale che conducono alle campane, ovviamente chiuse al pubblico, sono in uno stato avanzato di degrado e di alta pericolosità.

 fonti: "Nuetér"